autart » comunicati http://www.mybreadcrumbs.it/autart autonomia autoformazione artivismo Tue, 09 Jun 2020 20:58:01 +0000 en-US hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.4.1 r/d-ecCesso http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/rd-eccesso/ http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/rd-eccesso/#comments Tue, 14 Jun 2011 17:12:51 +0000 admin http://www.mybreadcrumbs.it/autart/?p=14787 "Ha senso politico continuare a reggere con pazienza ciò che si è fatto rigido e pesante come un macigno e che impedisce la fluidità di pratiche politiche nuove?” Questa domanda rispecchia in modo limpido la situazione attuale del nostro collettivo. E la nostra risposta è certamente no. Scriviamo quindi questo testo per chiudere in modo pubblico e chiaro l'esperienza di autart nella forma e nelle persone in cui lo abbiamo conosciuto finora. Negli ultimi mesi all'interno del collettivo sono emerse con una forza distruttiva problematiche forse esistenti da sempre, le quali erano semplicemente rimaste sul fondo, coperte da quella dolce sabbia trasportata dalle correnti gioiose del fare condiviso, della pratica comune, delle discussioni, delle chiacchiere e delle birre bevute insieme. C'è stato molto affetto in autart, magari stupidamente ingiustificato, ma per chi si è lasciato attraversare da questa leggera brezza era chiaro che non servivano motivi, perché era quella silenziosa complicità, quel qualcosa di seducente e trascinante che dava senso alla formula “un collettivo (organismo) è qualcosa di più della somma delle sue parti (aggregato)". Questa eccedenza non era solo una questione affettiva, era anche tutto quel complesso divenire che ha caratterizzato e modellato il nostro comune, a partire dai desideri che riecheggiavano tra i nostri corpi e che hanno catalizzato le nostre energie, rigenerando la voglia dell'altro. Le spinte e le motivazioni reciproche, la contaminazione di idee e pratiche, quella tensione necessaria, ma anche necessariamente silenziosa, ci hanno permesso di fare le cose insieme, di stare insieme, di cercarci. Era un gioco creato da tutta una piccola serie di riti sociali, di narrazioni e autonarrazioni, di momenti conviviali, di parole dette e taciute, una fittissima trama di relazioni soggettivanti che hanno nel tempo creato amicizie e svelato amaramente inevitabili rapporti di forza e di potere, complessi da elaborare, ma che hanno permesso di crescere e di capirsi insieme. Abbiamo capito che questo gioco non è ritrovabile nella realizzazione delle pratiche, ma si costruisce nei metodi adottati al momento della sperimentazione delle pratiche stesse. Tuttavia esso appartiene a quel lavoro trasversale e invisibile costituito dal “non detto”. Infatti attraverso le caratteristiche dei singoli si definivano i ruoli espliciti e quelli non espliciti al gruppo. Il collettivo costruiva al contempo due progetti, quello più o meno chiaro a tutti, "il detto", ovvero la progettualità, l'espressione e le relazioni esterne; e quello chiaro a nessuno, il "non detto", teso a smantellare il detto. Quanto è dirompente la forza del non detto solo la sua manifestazione lo ha rilevato, sfociando con l'allontanamento di una parte del gruppo, con la fine o con un nuovo inizio. Il non detto ha tenuto gelosamente a sé tutte le relazioni, i rapporti di forza, la gestione del potere, tutto il lavoro che il collettivo ha fatto verso il suo interno.]]> “Ha senso politico continuare a reggere con pazienza ciò che si è fatto rigido e pesante come un macigno e che impedisce la fluidità di pratiche politiche nuove?”

Questa domanda  rispecchia in modo limpido la situazione attuale del nostro collettivo. E la nostra risposta è certamente no. Scriviamo quindi questo testo per chiudere in modo pubblico e chiaro l’esperienza di autart nella forma e nelle persone in cui lo  abbiamo conosciuto finora.

Negli ultimi mesi all’interno del collettivo sono emerse con una forza distruttiva problematiche forse esistenti da sempre, le quali erano semplicemente rimaste sul fondo, coperte da quella dolce sabbia trasportata dalle correnti gioiose del fare condiviso, della pratica comune, delle discussioni, delle chiacchiere e delle birre bevute insieme. C’è stato molto affetto in autart, magari stupidamente ingiustificato, ma per chi si è lasciato attraversare da questa leggera brezza era chiaro che non servivano motivi, perché era quella silenziosa complicità, quel qualcosa di seducente e trascinante che dava senso alla formula “un collettivo (organismo) è qualcosa di più della somma delle sue parti (aggregato)”. Questa eccedenza non era solo una questione affettiva, era anche tutto quel complesso divenire che ha caratterizzato e modellato il nostro comune, a partire dai desideri che riecheggiavano tra i nostri corpi e che hanno catalizzato le nostre energie, rigenerando la voglia dell’altro. Le spinte e  le motivazioni reciproche, la contaminazione di idee e pratiche, quella tensione necessaria, ma anche necessariamente silenziosa, ci hanno permesso di fare le cose insieme, di stare insieme, di cercarci.  Era un gioco creato da tutta una piccola serie di riti sociali, di narrazioni e autonarrazioni, di momenti conviviali, di parole dette e taciute, una fittissima trama di relazioni soggettivanti che hanno nel tempo creato amicizie e svelato amaramente inevitabili rapporti di forza e di potere, complessi da elaborare, ma che hanno permesso di crescere e di capirsi insieme.

Abbiamo capito che questo gioco non è ritrovabile nella realizzazione delle pratiche, ma si costruisce nei metodi adottati al momento della sperimentazione delle pratiche stesse. Tuttavia esso appartiene a quel lavoro trasversale e invisibile costituito dal “non detto”. Infatti attraverso le caratteristiche dei singoli  si definivano i ruoli espliciti e quelli non espliciti al gruppo. Il collettivo costruiva al contempo due progetti, quello più o meno chiaro a tutti, “il detto”, ovvero la progettualità, l’espressione e le relazioni esterne; e quello chiaro a nessuno, il “non detto”, teso a smantellare il detto. Quanto è dirompente la forza del non detto solo la sua manifestazione lo ha rilevato, sfociando con l’allontanamento di una parte del gruppo, con la fine o con un nuovo inizio. Il non detto ha tenuto gelosamente a sé tutte le relazioni, i rapporti di forza, la gestione del potere, tutto il lavoro che il collettivo ha fatto verso il suo interno.

Autart a volte ha gettato su questo lato uno sguardo troppo distratto e poco consapevole, prendendosene cura in modo discontinuo, anche se ci si dichiarava “presi bene”, anche se si credeva di condividere desideri e necessità, non sono mancate incomprensioni e difficoltà nel vivere l’intreccio relazionale, pervaso da dinamiche emotive difficili da scardinare, interpretare ed esplicitare, per cui al sentirsi ‘parte di’ coesisteva talvolta un sentimento di distacco, troppo spesso relegato nel non detto. Col tempo si è preferito, a favore di altre priorità, accrescere la distanza tra di noi, sacrificando l’importanza del momento della restituzione del gruppo, quello spazio messo a disposizione da chi vive il collettivo perché possa prendersi il tempo necessario di riflettere sulle dinamiche di presenza, di trasformazione dei rapporti e di come la progettualità possa svilupparsi a seconda di questa trasformazione. Quando il collettivo si è basato esclusivamente sulla sua prassi, non preoccupandosi di rendere espliciti i rapporti di potere, tutto è diventato statico, macchinoso, arrugginito e in quei momenti sembrava che niente, se non un’azione autoritaria, avrebbe potuto risolvere l’algoritmo.  Autart ha cercato di basarsi sul consenso esplicito, ma nel lungo periodo ha congelato i ruoli, da quel momento in poi si è spesso frainteso la necessità di legittimare una qualsivoglia decisione attraverso il peso di una assenza o una presenza, quando prima la fiducia e l’interesse spontaneo creavano da sole l’affezione verso il percorso.

In questo momento, prevale la distanza, di opinioni-posizioni-desideri ma anche affettiva, o perché non è stata coltivata nel tempo o perché è mancata da subito l’affinità necessaria. Sebbene ci siano stati differenti ritmi e tempi, e sebbene ognuno avesse una propria personale visione di cosa significasse per lei/lui far parte del collettivo, la distanza non è emersa dalla differenza ma dal sentire comune, perché come un macigno questo rapporto aveva iniziato a pesare-limitare-soffocare la libertà delle persone.

Ora vediamo sfilacciata quella complessa rete costituitasi nel tempo, fatta di desideri e necessità, dove l’eterogeneità è stata considerata un punto di forza, intreccio di partenza per una pratica di condivisione che si nutriva della differenza, riconoscendo l’alterità come una ricchezza e una possibilità di confronto contaminatrice. In molti abbiamo considerato autart come un’esperienza, un percorso di crescita, uno stare insieme godibile, vivo e corporeo, incrostato di materia, quasi sentimentale nell’accezione più delicata del termine. Uno spazio di profondo respiro in cui rispettare il tempo singolare di ciascuno e dove scambiarsi rispetto e autorità vicendevolmente, lasciando lo spazio necessario alla propria libertà individuale di sbagliare, a patto che nell’errore germogliasse la crescita dell’esperienza e del confronto e non, al contrario, che la libertà individuale diventasse limite della libertà dell’altro.

Negli ultimi mesi le varie divergenze sono state ancor più esplicitate e acuite da quella morsa creata dall’odiosa dimensione temporale dell’urgenza, la quale pone con una declinazione determinista obiettivi che sconfinano spesso in pericolose ideologie, calpestando penosamente relazioni e persone. Una dimensione in cui il momento supera d’importanza la progettualità.

Ci siamo accorti presto che queste modalità non riescono a sottrarsi al capitalismo ma ne assumono spesso le forme subdole e perverse di un tempo troppo veloce e distratto in cui è difficile accorgersi dell’altro. In questi momenti si creano inevitabilmente dei meccanismi gerarchici che portano i singoli soggetti ad assumere posizioni di leadership, di comando e quindi di oppressione verso l’altro al fine di raggiungere l’obiettivo designato, portando frustrazione, dimenticando il desiderio disinteressato e trascurando l’amicizia.  Abbiamo provato  a sottrarci  ad una scansione della nostra vita di questo tipo, consapevoli che non è semplice. A volte ci siamo riusciti e sono stati i momenti di maggior piacere. Tuttavia tra picchi di entusiasmo e foga e picchi di demotivazione e indolente accettazione, crescevano le incomprensioni e le insofferenze. In ogni caso non abbiamo voluto che autart fosse un’entità astratta, disincarnata, un marchio o un contenitore di facciata per presentare le pratiche che col tempo abbiamo fatto nostre, o uno strumento per aquisire un certo peso politico o per porci sulla cresta dell’onda nelle mobilitazioni. Perché anche questa è una modalità capitalista.

In quanto studenti abbiamo avuto a cuore in questi anni le problematiche accademiche e universitarie, cercando di soddisfare innanzitutto desideri e necessità personali cresciute nelle lacune di un sistema scolastico disastroso, mantenendo viva la consapevolezza di non avere alcuna verità da rivelare o pratica da consegnare, né livelli di consapevolezza superiori da diffondere e far pesare. Quando ci siamo incontrati  abbiamo percepito un disagio a cui non eravamo in grado di dare un senso preciso che abbiamo provato a costruire insieme. Adesso possiamo dire che quel senso è stato, ed è la nostra esperienza, che potremmo raccontare, ognuno a suo modo, ma nel racconto inevitabilmente qualcosa verrà perso. Si perde tutto quello che non è traducibile, che può essere solo espresso dicendo che eravamo corpo, desideri, sangue e intelligenza attiva in comunità. Siamo cresciuti attraverso la creazione di zone di autonomia didattica che fossero per tutti gli studenti ma principalmente per noi stessi, occasioni per rielaborare la propria formazione e le proprie intenzioni cercando di valorizzare quelle differenze che abbiamo esplorato con difficoltà. Abbiamo organizzato e praticato percorsi di autoformazione cercando di offrire a coloro che si sono imbattuti in autart, anche solo per un attimo, un’esperienza diversa, lavorando insieme con pratiche ludiche e curiose, che cercassero di forzare un tipo di sapere frontale, parcellizzato e omologato, strettamente derivante dall’impostazione economica dominante. Disinteressandoci della visibilità mediatica e di una ricerca sfrenata del consenso e dei grandi numeri, abbiamo inteso i media non solo come un canale d’informazione, ma anche come un giocattolo per bambini mal costruito, una dolce fiaba raccontata da un vecchio analfabeta. Autart ha avuto la fortuna, ma anche la determinazione di affrontare il suo viaggio attraverso quelle pratiche che cercano di parlare di cose senza necessariamente darsi delle arie di saccenti noiosi. La componente ironica, lo spostamento continuo di significati e attenzioni, scardinavano automaticamente ogni genere di gerarchizzazione del sapere all’interno del gruppo, tendendo a non differenziare le conoscenze ma ad eccedere nella sua condivisione e renderle trasversali. Non si è riusciti però a mantenere appieno quella umiltà di linguaggio, sia verso l’interno che verso l’esterno del gruppo, che avrebbe potuto ridicolizzare maggiormente un inutile gioco di ruoli e di competenze.

Forse abbiamo fallito. Non abbiamo probabilmente penetrato così a fondo l’immaginario studentesco che ci proponevamo di contaminare, détournare e bombardare, e quasi sicuramente non siamo stati un punto di riferimento costante per gli studenti che, interessati o meno alla propria condizione, hanno cercato punti di contatto. Abbiamo scoperto invece che un pizzico di autoreferenzialità potesse significare più complicità e coesione interna e meno frustrazione nel fallimento. In fondo abbiamo solo cercato di essere quello che volevamo essere, di esprimere quello che avevamo intenzione di esprimere, di ridere di ciò su cui molti piangono, sfogliando gli obiettivi della militanza ottusa con fare distratto e disinteressato. Forse abbiamo fallito, o forse no.

Quel che è certo è che le pratiche rimangono. Quello che preoccupa invece, e che si è verificato, è lo scambiare le pratiche per strumenti, i nomi per marchi, le persone per reclute, intercambiabili o addirittura sostituibili, i desideri soggettivi per necessità oggettive, il tramonto per una nuova alba. La qualità delle relazioni in autart aveva a volte frantumato quel confine imprendibile e impercettibile che separa un relazionarsi personale da un relazionarsi politico. Questo illusorio confine una volta riemerso ha determinato l’inizio di un esasperato periodo di perdita sia immaginativa che umana. Nonostante autart abbia saputo per molto tempo dedicarsi alla valorizzazione dei ritmi e del sentito personale e reciproco, non ha colto il valore dell’autodeterminazione e ha preferito abbandonarsi a qualcosa che era fuori di esso, perdendo l’autonomia.

Sappiamo che il processo di decostruzione è pratica lenta, tessuta di vittorie e fallimenti, e necessita di spostarsi in altri terreni.  Perciò ora accettiamo il rischio, per altri necessità, di perderci, di sciogliere questo irrigidimento nei confronti di un’identità che è divenuta stagnante e negativa, che manca di progettualità, di condivisione, di rispetto, di fiducia reciproca, e di un’affinità, un’identità che inesorabilmente scollata dai desideri, ha prodotto sordomuti.

I percorsi finiscono, a volte si evolvono, ma nulla si distrugge, tutto si trasforma e viene assorbito con diversi gradi d’intensità e di slancio emotivo. Coscienti di questo e della sibilante tensione verso l’esterno che autart ha covato e spesso concretizzato in collabor-azioni fuori dal contesto strettamente studentesco, ci auguriamo che questo scioglimento fluidifichi il nascere di nuove esperienze, pratiche e relazioni, che si armino di quella freschezza e sfrontatezza a nostro parere importanti per un cambiamento nello stanco immaginario movimentista e nell’intima capacità d’immaginazione delle persone . In questo sistema cannibalizzante abbiamo bisogno di desiderare altro, di costruire altri immaginari, e solo in questo caso il fallimento può assumere un potere rigenerativo.

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Brera si mobilita http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/brera-si-mobilita/ http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/brera-si-mobilita/#comments Wed, 01 Dec 2010 17:33:31 +0000 admin http://www.mybreadcrumbs.it/autart/?p=14656 Gli studenti hanno deciso di presidiare l’Accademia di Belle Arti di Brera garantendo comunque il regolare svolgimento dell’attività didattica e la funzionalità degli altri Enti presenti all’interno di Palazzo Brera.

http://milano.corriere.it/gallery/milano/12-2010/brera/1/occupazione-brera_3c6271c2-fd58-11df-a940-00144f02aabc.shtml#7

Con questa azione gli studenti dichiarano la loro totale opposizione al decreto Gelmini che costituisce un definitivo strumento di annientamento di ogni possibilità di sviluppo culturale aggravando ulteriormente l’insostenibile situazione di precarietà e disagio che caratterizza da anni l’ambiente della Formazione Artistica e Universitaria.
In questo scenario c’è da prendere in considerazione cosa ha significato per le Accademie il processo di Bologna. Quel vertice ha visto la stesura della legge 21 dicembre 1999, n. 508 che prevedeva la trasformazione delle Accademie e dei Conservatori in Istituzioni di Alta Formazione Artistica e Musicale. Le disposizioni in essa contenute erano norme di principio, la cui attuazione era rimessa ad uno più regolamenti, da adottarsi da parte del Ministero dell’Istruzione, dell’Università entro e non oltre il 31 Dicembre del 2007. Parte di questi regolamenti sono stati stilati e firmati in fretta e furia il 27 dicembre del 2007 quando da mesi le Accademie avevano avviato una mobilitazione nazionale contro molti punti di questa legge. L’attuazione è stata parziale e assolutamente confusionaria gettando gli studenti in un limbo istituzionale che continua ancora adesso.
Questo disagio che si protrae da molti anni ha visto la nostra situazione peggiorare progressivamente fino a confrontarsi, in questi anni, con la crisi economica. Le mobilitazioni che vedono protagonisti in questi giorni gli studenti di tutta Italia non riguardano esclusivamente l’attuazione di un Disegno di Legge ma una situazione di crisi generale che sembra avere come soluzione, esclusivamente nella nostra nazione, i tagli alla Cultura e all’Istruzione.
La protesta, dunque, si pone l’obiettivo di rivendicare la totale comparazione dei Diplomi Accademici alle Lauree universitarie, il riconoscimento legale dei corsi biennali specializzanti, l’attivazione dei dottorati, l’approvazione delle tabelle comparative per la classe di Laurea con la conseguente possibilità di accesso ai concorsi pubblici, l’assunzione dei professori di seconda fascia, l’inserimento delle Istituzioni Artistiche all’interno del comparto universitario ed una didattica costruita per garantire una ricerca autonoma da parte degli studenti. Vogliamo che gli studenti siano corpo, sangue, desideri e intelligenza attiva nella didattica. Vogliamo la possibilità di un sapere e una ricerca libera.

2 Dicembre 2010- Assemblea generale h.10.00 Aula 10

Gli studenti di Brera.

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Verso e dopo il 12 marzo http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/testi/verso-il-12-marzo/ http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/testi/verso-il-12-marzo/#comments Tue, 09 Mar 2010 19:41:43 +0000 admin http://www.mybreadcrumbs.it/autart/?p=12037 Il 12 marzo 2010 il mondo della formazione scenderà in piazza per la prima volta in seguito all’ approvazione della riforma Gelmini, ognuno con le proprie rivendicazioni. ]]> La riforma delle università si fa attendere ma l’attesa non è di certo calma e senza spaesanti locuzioni del governo.
Il 12 marzo 2010 il mondo della formazione scenderà in piazza per la prima volta in seguito all’ approvazione della riforma Gelmini, ognuno con le proprie rivendicazioni.
Il 4 marzo 2010 il governo ha deciso di tracciare una linea netta separando l’istruzione, dall’istituzione pubblica delle scuole superiori, senza nessun pudore l’ ultimo decreto legge ed il completamento totale della riforma, annunciato per inizio estate, viene descritto dal governo come “un grande cambiamento”. Inutile descrivere il vuoto nel quale l’istruzione pubblica cadrà e possiamo dire, sta cadendo.
Tagli, licenziamenti, eliminazione della geografia, tetto massimo del 30% per i migranti in ogni classe, riduzione dell’obbligo scolastico grazie all’ apprendistato, azzeramento della sperimentazione, 30 ore obbligatorie a settimana con l’eliminazione completa di tutti i laboratori e la gravante del voto di condotta.

Per quanto riguarda le Università e le Accademie, il saccheggio lo si può notare nei pesanti tagli all’ FFO, nell’aumento indiscriminato delle tasse a cui assistiamo da tempo e nell’assurdo e becero inserimento nei Consigli di Amministrazione di aziende private che come facilmente possiamo immaginare saranno le vere e uniche, oltre agli studenti, finanziatrici delle Università pubbliche. Dal finanziamento, al diritto di decisione il passaggio è ovvio, oltre che immediato, la pressa capitalista oltre che invadere i CdA devasterà ogni scopo formativo, ogni lungimiranza conoscitiva, ogni ego creativo che necessita di un ventaglio di opportunità didattiche sul quale esprimersi.

Le Accademie dal loro canto si portano dietro ogni tipo di acciacco istituzionale, i ddl presentati al Senato, come potevamo immaginare, appellandosi all’emergenza crisi eliminano ogni possibile parificazione dei finanziamenti statali con le università, ma riconoscendo, “Alta” la formazione impartita agli studenti, considera opportuno l’equiparazione dei titoli di studio accademici con le lauree. Quello che ne scaturisce è una totale disfunzione strutturale che vede le accademie rincorrere una formazione di qualità che non raggiungerà mai, segnata dal completo disinteresse degli organi statali competenti. L’unico interesse che può far incanalare l’attenzione mediatica (e istituzionale) su un’accademia è il suo trasferimento all’interno di future sedi ancora più inadatte di quella fino ad ora assegnatagli.

Il cane zoppica e lo si finisce a bastonate, in questo scenario degenerativo i baroni si ritagliano orticelli edenici spergiurando e speculando sulle tasche degli studenti e mentre la nave affonda con tutta la disinvoltura possibile si assicurano scialuppe di salvataggio. Adesso è crisi ma è crisi vera, ai tutor viene promesso il pagamento a fine anno, tecnici didattici e di laboratorio vivono con due mensilità da inizio ottobre, la busta paga dei docenti tarda ad arrivare, trasformando la didattica in un valvola di sfogo, il collasso è alle porte e nello stesso giorno della commemorazione del processo che ha messo l’università in ginocchio, gli studenti scendono in piazza.

C’è la necessità di iniziare un cambiamento e il cambiamento che conta è quello che avviene nell’immaginario. Elemento fondamentale è la nostra capacità creativa. È la riattivazione del suo potenziale all’interno del mondo. Possiamo prenderci ciò che desideriamo attraverso la diffusione delle idee in tutte le forme che conosciamo. Tutti possiamo contribuire attraverso lo scambio e la condivisione delle nostre conoscenze e saperi, a realizzarla e renderla concreta.
La sperimentazione è l’unica maniera di conquistare forme di gestione del comune, produrre alternative è parte del nostro DNA, attraverso lo stravolgimento dei codici, anche nella manifestazione pubblica, vogliamo esplorarne il senso ludico e irriverente, per questo valido motivo esprimiamo il desiderio di reinventare una presenza di piazza: prendiamo ispirazione dalla rebel clown army, riformulandola a seconda delle nostre più creative esigenze.

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BRERA ESISTE DA PIÙ DI DUECENTO ANNI, MA NOI NO! http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/brera-esiste-da-piu-di-duecento-anni-ma-noi-no/ http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/brera-esiste-da-piu-di-duecento-anni-ma-noi-no/#comments Thu, 22 Oct 2009 22:07:08 +0000 admin http://www.mybreadcrumbs.it/autart/?p=617 logoBreraRotto

Da quando ci iscriviamo ci vendono un marchio che si regge solo sulle bugie di un passato glorioso, un nome che fanno credere dia prestigio a chi è dentro ma che è solo uno strumento per baroni e politicanti, una trappola per gli studenti di cui ci dobbiamo liberare. La realtà che abbiamo vissuto nel corso degli anni è quella del degrado non solo di un palazzo ma anche di una scuola che pretende di essere di alta formazione. In quasi sette anni le tasse sono aumentate del 300%. I piani di studio hanno subito continue modifiche non per esigenze didattiche che tenessero conto degli studenti ma per giochi di potere e continui tagli dei fondi da parte del Ministero. Hanno introdotto i piani di studio 3+2, abbassando il valore dei vecchi diplomi magistrali a diploma di primo livello. Adesso si accorgono che quella formula non aveva alcun valore e fanno marcia indietro senza chiederci niente. Non abbiamo mai avuto il completo valore legale dei nostri titoli di studio e i corsi biennali non hanno ancora un riconoscimento. Continuano a proporre master di specializzazione per spillare soldi agli studenti che seguono ancora il miraggio dell’inserimento del mondo del lavoro.
Adesso l’ultimo sopruso, vogliono che ce ne andiamo e i soldi del trasloco li vogliono da noi. Magari ci sbatteranno in una caserma, magari in un capannone in periferia e a subire saranno come sempre gli studenti. È ora di dire basta e di alzare la testa, basta con un Accademia spaccata in due, basta con una didattica scelta dall’alto, basta con continue scuse di assenza di fondi e spazi.

VOGLIAMO UNA SEDE ADEGUATA E LA DEVONO TROVARE LORO

Noi da qui non ce ne andiamo finché non ci siamo ripresi TUTTO.
Non solo noi la crisi non la paghiamo ma anche ci prendiamo quello che ci spetta.

CI SPETTA UNA DIDATTICA CHE SIA ESPRESSIONE DEI NOSTRI DESIDERI, CI SPETTANO DEGLI SPAZI E DEI LABORATORI CHE SIANO DEI LUOGHI DI PRODUZIONE E CONDIVISIONE IN UNA SEDE ADEGUATA, CI SPETTA CHE RICONOSCANO IL VALORE LEGALE E CULTURALE DEI NOSTRI PERCORSI, CI SPETTA CHE IL TEMPO CHE DIAMO A QUESTA SCUOLA CI PERMETTA DI AUTODETERMINARCI E CRESCERE COME SOGGETTI INSIEME, CI SPETTA E CI DEVONO DARE QUELLO CHE CI SERVE

CI DEVONO PAGARE
CI DEVONO DARE TUTTI I FONDI CHE SERVONO PERCHÉ L’EXPO NON SIA SOLO UNO STRUMENTO PER ARRICCHIRE I SOLITI PALAZINARI E FURB

VOGLIAMO TUTTI I SOLDI DELL’EXPO
e li vogliamo per gli studenti

scarica il pdf del volantino

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ignoranza, tagli e speculazioni… ci meritiamo un altro presente! http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/ignoranza-tagli-e-speculazioni-ci-meritiamo-un-altro-presente/ http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/ignoranza-tagli-e-speculazioni-ci-meritiamo-un-altro-presente/#comments Fri, 09 Oct 2009 10:00:19 +0000 admin http://www.mybreadcrumbs.it/autart/?p=1537 testo del volantino per la manifestazione del 9 ottobre 2009:

FLASHBACK

Lo scorso anno la reazione imponente degli studenti e delle studentesse ai pesanti tagli imposti dal ministro Gelmini alle scuole ed alle università pubbliche; un autunno di fuoco nelle facoltà e nelle accademie milanesi come a livello nazionale, a grandi mobilitazioni in difesa dell’istruzione libera ed accessibile a tutti e tutte, contro lo smantellamento della cultura e la svendita dei saperi, al grido di “Noi la crisi non la paghiamo”.

UN ANNO DOPO

Oggi paghiamo le conseguenze di quei tagli, vediamo in atto nei luoghi della formazione la distruzione del patrimonio pubblico che è il sapere attraverso il licenziamento in massa di professori precari il taglio agli assegni di ricerca, la chiusura dei propri laboratori, la drastica riduzione del curriculum di studi.

1958

Il termine “meritocrazia” in letteratura è nato per descrivere lo scenario di un futuro distopico in cui la posizione sociale di un individuo è determinata dal suo quoziente intellettivo e dallo sforzo. Ma chi può misurare intelletto e sforzo? Oggi questo futuro distopico è propagandato come giusto e auspica l’esistenza di una classe meritocratica che monopolizzi l’accesso al merito e di conseguenza perpetui il proprio potere, status sociale e privilegi.

OGGI

Il merito è evidentemente un dispositivo di controllo del lavoro cognitivo, e non di meno, un elemento di ricatto: nonostante non sia stata varata alcuna vera riforma volta ad indirizzare l’università nella direzione di una selezione meritocratica (escluso i finanziamenti estivi del 7%) vediamo modificarsi le tessere che compongono il dibattito sul ruolo e la qualita’ del sistema formativo: non più la dicotomia tra pubblico e privato ma ora una spietata gara a chi rivendica più meritocrazia.

Il merito è semplicemente quello di spendere meno andando a sacrificare l’offerta formativa_impugnano questo grimaldello, per scardinare il processo formativo scolastico, incentrato sulle esigenze dello studente, e favorire un modello di scuola il cui solo fine è quello di sfornare giovani precari disposti a farsi sfruttare nei vari stage aziendali offerti dalle facoltà. Meritocrazia e ignoranza, due dispositivi sempre più interfacciati, al fine di mantenere un equilibrio // Privilegiare da un lato, togliere diritti dall’ altro // Scatenare una guerra tra poveri, distogliere l’attenzione dalle ingiustizie.

Le studentesse e gli studenti l’anno scorso hanno saputo immaginare e dar vita ad una proposta, quella dell’autoformazione, che rispondesse alla nostra esigenza di veder rispettata la propria soggettività, al nostro bisogno di creare il proprio percorso nelle accademie e nelle facoltà, alla necessità di costruire un’alternativa valida all’avvilente realtà dei tagli e della svendita della scuola pubblica. Il sapere condiviso e la relazione_un presente di autoformazione_ribellarsi_avviare un procezzo di liberazione_siamo tutti meritevoli Abbiamo saputo reimmaginare il nostro ruolo nelle accademie e nelle facoltà, riprendendoci il diritto ad una formazione di qualità, rifiutandoci di stare a guardare mentre si specula sul nostro futuro, prendendo parola contro chi ci vuole ignoranti ed obbedienti, impegnandoci tutti e tutte assieme per liberare saperi e renderli condivisi. Abbiamo sorpreso chi ci immaginava vinti in partenza e pronti ad accettare supinamente qualsiasi taglio alla libera condivisione dei saperi -> abbiamo saputo rafforzare il nostro no ai tagli indiscriminati con l’autoformazione ed il dialogo fra di noi -> abbiamo saputo opporre un’alternativa dal basso a chi vede la scuola solo come una fabbrica di futuri precari -> abbiamo difeso il nostro presente -> abbiamo dato un significato al nostro vivere le accademie e le facoltà nelle quali ci formiamo.

Oggi torniamo nelle strade e nelle piazze della nostra città per ricordare che chi ha saputo costruire tutto questo non si merita i tagli svilenti sul proprio futuro.

nessuna tregua a chi vede la scuola pubblica solo come una spesa inutile,
a chi non si rende conto dell’importanza degli strumenti cognitivi che la formazione deve dare,
a chi vuole svendere il nostro presente per il suo profitto,
a chi ci toglie la possibilità di scegliere un percorso che sia sentito come proprio per darci un’offerta formativa già pronta ed impacchettata in base alle esigenze di mercato,
a chi taglia il nostro futuro con l’accetta per usarci a suo piacere,
a chi specula sulla nostra pelle, sui nostri bisogni, sui nostri desideri.

scarica il pdf

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taglia e vinci! http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/taglia-e-vinci/ http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/taglia-e-vinci/#comments Fri, 09 Oct 2009 09:00:26 +0000 admin http://www.mybreadcrumbs.it/autart/?p=1577 adesivo realizzato in occasione della manifestazione del 9 ottobre 2009:

adesivoTagliaEvinci

scarica, stampa e appicica gli adesivi!

dimensione: 6 adesivi in un A4 .jpg [7 MB -> risoluzione per la stampa 300 dpi]

logoFake-soloLogoConTrasparenza-xExcerptdimensione: 12 adesivi in un A4 .jpg [9.5 MB -> risoluzione per la stampa 300 dpi]

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fake test d’ingresso http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/fake-test-dingresso/ http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/fake-test-dingresso/#comments Sat, 03 Oct 2009 09:00:22 +0000 admin http://www.mybreadcrumbs.it/autart/?p=1317 all’Accademia di Brera durante il test d’ammissione all’anno 2009/2010 vengono distribuiti dei complicati test d’ingresso. Gli studenti, a quel punto IN CRISI, NON VOLEVANO PAGARE per rispondere a quelle macchiavelliche domande…

1. Qual è il professore che insegna nello studio di Canova a Brera?
A. Un professore che presto perderà il suo unico motivo di gloria
B. Il nipote del cugino del figlio del fratello acquisito di Canova
C. La bidella che vive in Via Fiori Oscuri

2. Perchè è ultile compilare un piano di studi?
A. Per tenerti occupato il primo semestre di ogni anno
B. Per avere l’illusione di una scelta
C. Per fare amicizia con i segretari

3. In base a cosa vengono assegnati i crediti formativi di un corso?
A. In base alle ore del corso diviso il PIL dell’Italia dell’anno precedente
B. In base alla metratura quadra dell’aula dove si svolge il corso
C. In base all’avanzo di bilancio di Brera diviso il numero del personale ATA

4. Da cosa dipende l’inserimento di un corso nella fascia dei caratterizzanti?
A. Dalle affinità dei segni zodiacali del professore che lo tiene
B. Dalle capacità creative del direttore di scuola di far corrispondere il meno possibile il nome del corso alla materia insegnata
C. Dalla necessità di salvare il salvabile

5. Che cosa rende Brera un’istituzione prestigiosa?
A. Il numero di bidelle sedute lungo i corridoi
B. Il professore che insegna nello studio di Canova
C. Il pezzo di carta che ti danno alla fine del triennio

6. Qual è la migliore prospettiva lavorativa dopo l’Accademia?
A. Fare l’artista del part-time
B. Fare uno stage gratis e diventare disoccupato
C. Fare il lecca culo di un professore, diventare tutor e metter su famiglia

7. Che cosa significa riforma a costo zero?
A. Ognuno insegna cosa vuole insegnare
B. Le cattedre si assegnano giocando a dadi
C. Ogni professore nella congiuntura astrale positiva può realizzare il sogno nascosto della propria vita

8. Come ha reso grande Brera il progetto La Grande Brera in vista dell’Expo?
A. A suon di gessi nei corridoi
B. Con tanti articoli su Libero
C. Con tanti discorsi su tutto tranne che sulla didattica

9. Che effetto avranno su Brera i tagli da parte del Ministero?
A. Strapotere dei maestri d’arte
B. Taglio indiscriminato dell’offerta formativa
C. Tanta felicità ed un futuro sicuro

10. Quale sarà la risposta degli studenti alle decisioni del Ministero?
A. Autoformazione
B. Autorganizzazione
C. Noi la crisi non la paghiamo

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test d’ingresso fake alla Sapienza!

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grave attacco di mariani ai diritti 
dei docenti a contratto, dei tutor e degli studenti http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/grave-attacco-di-mariani-ai-diritti-%e2%80%a8dei-docenti-a-contratto-dei-tutor-e-degli-studenti/ http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/grave-attacco-di-mariani-ai-diritti-%e2%80%a8dei-docenti-a-contratto-dei-tutor-e-degli-studenti/#comments Mon, 22 Jun 2009 12:00:48 +0000 admin http://www.mybreadcrumbs.it/autart/?p=1837 comunicato studenti

Quello che succede oggi è il risultato di una situazione che si trascina ormai da tempo. Questa accademia fino ad ora si è sempre basata su accordi verbali senza alcuna validità legale e sulla buona fede di chi prestava lavoro senza garanzie (docenti e tutor). Quest’anno la direzione aggredisce questa scuola con la falsa pretesa di fare ordine. Una parte dei docenti a contratto non verrà pagata per decisione del nuovo direttore Mariani. Questo significa che i corsi da loro tenuti quest’anno accademico non avranno alcuna validità e verranno annullati come se non fossero mai stati fatti: niente esami, niente crediti, nessuna possibilità di vedere riconosciuta la frequenza e l’impegno nostro e dei professori. Inoltre otto ex studenti, i tutor, che hanno garantito in questo semestre una serie di servizi per noi, rischiano di non essere pagati. Come è giusto che sia, tutti i docenti hanno deciso di protestare contro queste decisioni, sospendendo gli esami. Come studenti appoggiamo pienamente la decisione dei professori, in quanto solidali con questi ultimi e i tutor, nonché con i ragazzi che si vedranno cancellati i corsi. Pertanto indiciamo un’assemblea permanente durante la quale si deciderà come agire.

comunicato docenti a contratto

Il direttore dell’Accademia ha comunicato al direttore della Scuola di Nuove tecnologie prof. Cuoghi che non intende riconoscere il lavoro (e quindi firmare i relativi contratti) a quattro dei nostri docenti: i proff. Marangoni (Uso dei software per il web), Perretta (Semiotica dell’arte), Tombola (Tecniche di montaggio) e Berardi (Elementi di storia della comunicazione sociale): i primi due perché hanno insegnato una materia con la stessa denominazione (ma programmi diversi), al biennio e al triennio, il terzo perché ha fatto un corso di 60 ore invece che 45, il quarto addirittura perché “non risulta” negli elenchi ufficiali dei docenti (???). Contestualmente ha deciso di convocare gli 8 tutor per decidere quali di essi verranno pagati e quali no: il loro numero, a suo parere, è eccessivamente elevato.

La posizione dei quattro docenti, come il numero dei tutor, erano stati regolarmente concordati dalla direzione della nostra Scuola col precedente direttore De Filippi, ma il direttore Mariani non vuole riconoscere questi accordi. Tre docenti rischiano dunque di venire pagati per una parte solo delle ore di insegnamento che hanno effettivamente fatto, un quarto di non venire pagato affatto. Alcuni tutor (non sappiamo quanti) rischiano di aver lavorato gratis. Gli studenti, da parte loro, rischiano di non poter fare esami a cui sono regolarmente iscritti per corsi che hanno frequentato. Una situazione che definire scandalosa è poco.

Il Comitato Contrattisti Brera chiede:
- al Direttore Prof. Mariani di tornare su queste gravi decisioni e rispettare i più elementari diritti dei professori a contratto, dei tutor e degli studenti;
- al Direttore della Scuola, al Comitato Scientifico e a tutti i docenti di ruolo di appoggiare e sostenere concretamente le nostre richieste, e decide
il blocco immediato degli esami
sino a che le nostre richieste non saranno accettate

Agli studenti chiediamo di unirsi alle nostre richieste e alla nostra lotta, che non è affatto rivolta contro di loro, ma contro una politica miope, autoritaria e arrogante.

Milano, 22 giugno 2009

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Della miseria dell’ambiente accademico http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/della-miseria-dellambiente-accademico/ http://www.mybreadcrumbs.it/autart/comunicati/della-miseria-dellambiente-accademico/#comments Tue, 19 May 2009 12:14:02 +0000 admin http://www.mybreadcrumbs.it/autart/?p=277 Si può affermare senza paura di sbagliare che in Italia l'artista, dopo i poliziotti e i preti, è l'essere più comunemente disprezzato. ]]> Si può affermare senza paura di sbagliare che in Italia l’artista, dopo i poliziotti e i preti, è l’essere più comunemente disprezzato. Le ragioni per cui è disprezzato sono spesso false ragioni, frutto dell’ideologia dominante, ma le ragioni per cui è effettivamente disprezzabile dal punto di vista della critica politica andrebbero dichiarate apertamente.

Sono diverse le definizioni a cui questo soggetto può essere associato. Nei luoghi in cui la produzione è ancora percepita come strettamente legata alle ore di lavoro prestato per salario l’artista è comunemente considerato inutile ai processi produttivi. Una tale concezione dell’economia, però, può considerarsi molto lontana dal reale. In altri luoghi in cui l’artista è considerato esperto di una particolare tecnica, esso viene associato all’artigiano che produce oggetti d’arte. Niente di più illusorio e forviante. Probabilmente la peggiore e la più ideologica delle sue definizioni è quella legata ad un’idea di arte come territorio dell’esperienza estetica pura in cui l’artista è portatore di una verità altra inaccessibile ai più. Tutte definizioni che nascondono la sua realtà, cioè essere parte attiva, suo malgrado, di un processo economico che si riproduce.

Il mercato dell’arte è una delle espressioni forse più alte di mercato finanziario. Esso si basa su di un sistema di opinioni che definiscono le quotazioni degli oggetti venduti, al di là della natura dell’oggetto. Il valore delle quotazioni è garantito dalla presenza di una innumerevole quantità di giovani artisti che prestano lavoro non solo precario ma addirittura gratuito nella speranza di raggiungere un traguardo inesistente. Questi giovani artisti si sentono tanto più liberi e realizzati quanto più si incatenano a questo tipo di meccanismo. Da studenti analizzano come le diverse produzioni vengono esposte, come vengono comunicate e criticate. Studiano gli stili e le tendenze, le inclinazioni e gli incidenti. Le opere così diventano l’espressione più alta di come il pensiero possa essere trasformato in economia. Ogni oggetto, video, tela, installazione è una trovata, un pretesto, un elemento utile alla sopravvivenza di questo mercato.

La situazione non è cambia neanche quando nel ’99 il processo di Bologna a visto le Accademie travolte dall’idea di riforma a costo zero. Il piani didattici sono stati trasformati per introdurre materie che possano consentire un più agevole inserimento nel mondo del lavoro facendo strada al sistema del 3+2. Le tasse scolastiche sono state aumentate a dismisura pesando sugli studenti, così sempre più poveri e pronti a diventare i precari della conoscenza di domani. I legami con i sistemi di produzione economica si sono fatti più stretti ma sono stati attenuati dall’idea di una possibilità lavorativa più concreta. Ciò che viene insegnato è pensato per essere utile a questo sistema economico sia che si tratti di analisi teoriche sia che si tratti di realizzazioni pratiche: comunicazione, grafica, design, fashion, programmazione. Ma come si può anche solo pensare di essere parte di un sistema economico che non funziona più? Come ci si può cullare su di un illusorio inquadramento nel mondo del lavoro schiavi di un processo ormai alla fine?

Ci è sembrato indispensabile avviare anche all’interno delle Accademie zone di autonomia didattica in cui gli studenti avessero il tempo di rielaborare la propria formazione e le proprie intenzioni. Abbiamo pensato ad un’autoformazione che prendesse in considerazione sia l’aspetto teorico che quello pratico e attraverso quest’ultimo potesse essere un’occasione per valorizzare possibili relazioni tra soggettività diverse.

Ma in questo scenario c’è da prendere meglio in considerazione cosa ha significato per le Accademie il processo di Bologna. Quel vertice ha visto la stesura della legge 21 dicembre 1999, n. 508 che prevedeva la trasformazione delle Accademie e dei Conservatori in Istituzioni di alta formazione artistica e musicale. Le disposizioni in essa contenute erano norme di principio, la cui attuazione era rimessa ad uno più regolamenti, da adottarsi da parte del Ministero dell’istruzione, dell’università entro e non oltre il 31 Dicembre del 2007. Parte di questi regolamenti sono stati stilati e firmati in fretta e furia il 27 dicembre del 2007 quando da mesi le Accademie avevano avviato una mobilitazione nazionale contro molti punti di questa legge. L’attuazione è stata parziale e assolutamente confusionaria gettando gli studenti in un limbo istituzionale che continua ancora adesso. In questa situazione per noi è stato possibile intervenire all’interno della didattica ottenendo un riconoscimento delle attività svolte. Tuttavia ci sembra insufficiente che questo successo possa dipendere solo da un assenza legislativa. Il diritto di decisione nella didattica per gli studenti deve essere riconosciuto nei decreti attuativi sin nelle stanze del Ministero.

Allo stato attuale il valore legale del nostro titolo di studio è parziale e poco chiaro. Questo ci lascia in balia del mercato lavorativo senza avere alcun diritto. In più dal punto di vista amministrativo le Accademie non sono entrate a far parte dei circuiti universitari e per questo gli studenti non possono godere degli stessi diritti. Quindi nessuna borsa di ricerca o dottorato ci spetta. I doplomandi accademici subiranno un criterio di selezione lavorativa basato sul prestigio dell’istituzione da cui provengono in cui gli interventi dei privati sono stati ormai ampiamente legittimati. Questo avveniva prima che la crisi fosse una realtà tangibile per tutti. Si prepavano le basi per creare all’interno delle Accademie schiavi senza diritti. Con maggiore consapevolezza di quello che ci aspetta incominciamo a difenderci protestando contro il vertice che si terrà a Torino. Un vertice del tutto simile a quello che ci ha portato in questa condizione. Dobbiamo essere noi a scegliere e rifiutare di non avere possibilità di scelta. Vogliamo il diritto ad un valore legale del nostro titolo di studio pur conservando la nostra specificità di saperi. Vogliamo che gli studenti siano parte attiva nella decisione didattica. Vogliamo la possibilità di una ricerca libera.

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